ROMA - Negare l'accesso ai porti del nostro Paese alle navi cariche di migranti che battono bandiera non italiana. Il governo alza la voce con l'Europa, al culmine di un esodo infinito dalla Libia che negli ultimi giorni ha riversato sulle nostre coste oltre 12mila uomini, donne e bambini. "I Paesi Ue la smettano di girare la faccia dall'altra parte, perché questo non è più sostenibile - attacca il premier Paolo Gentiloni -. Possiamo parlare delle soluzioni, delle preoccupazioni, ma voglio ricordare che c'è un Paese intero che si sta mobilitando per gestire questa emergenza, per governare i flussi, per contrastare i trafficanti". Il primo passo con Bruxelles è già stato fatto: palazzo Chigi, dopo l'incontro di martedì tra il premier e il ministro dell'Interno Marco Minniti, ha infatti dato mandato al rappresentante presso l'Ue, l'ambasciatore Maurizio Massari, di porre formalmente la questione con il Commissario per le migrazioni Dimitris Avrampoulos.

"La situazione è grave e va affrontata senza più rinvii", dicono fonti di governo. Un passo concordato anche con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella che dal Canada è tornato, per la seconda volta in due giorni, a farsi sentire. "Se il fenomeno dei flussi continuasse con questi numeri, la situazione diventerebbe ingestibile anche per un Paese grande e aperto come il nostro". Anche perché, "contemporaneamente" ai salvataggi e all'accoglienza, va garantita la "sicurezza dei cittadini". "Si tratta di un fenomeno epocale - ha ribadito il capo dello Stato - che non si può cancellare alzando muri ma occorre governarlo con serietà". Dunque non si torna indietro. Le navi cariche di migranti che si trovano in queste ore ancora in mare, verranno fatte attraccare. Ma già dai prossimi giorni potrebbe scattare il blocco. Quando? La dead line non è ancora stata stabilita ma, ribadiscono fonti di governo, "andiamo avanti" e se dall'Europa non arriveranno risposte concrete entro breve termine, verrà dato ordine alla Centrale operativa della Guardia Costiera - cui spetta il coordinamento dei salvataggi in mare - di non far avvicinare le navi ai porti. Il blocco inizialmente varrà solo per le navi delle Ong ma che non è escluso, proprio per ribadire la via di non ritorno intrapresa dall'Italia, che possa riguardare in futuro anche le imbarcazioni che operano sotto Frontex e nella missione Eunavformed. La legge e i trattati internazionali prevedono che ogni salvataggio in mare si concluda con l'approdo in un "porto sicuro". E dunque, viene fatto notare dai tecnici, un qualsiasi scalo a Malta o in Tunisia, ad esempio, ben più vicini dell'Italia.

"Il peso dell'accoglienza - si sottolinea ancora in ambienti di governo - non può gravare solo su di noi, è insostenibile che tutte le imbarcazioni facciano rotta sull'Italia. Salvataggi e accoglienza non possono essere disgiunti". Parole che, al momento, non sembrano essere state recepite fino in fondo a Bruxelles. Se da un lato Avrampoulos ammette infatti che "l'Italia ha ragione" e che non è possibile "lasciare un pugno di paesi ad affrontare" l'esodo da soli, dall'altro rimanda ogni discussione al vertice informale dei ministri dell'Interno in programma a Tallin la settimana prossima e si limita a ribadire che la Commissione è pronta "ad accrescere in modo sostanziale il supporto finanziario" al nostro paese. In sostanza, più soldi per continuare ad accogliere tutti i migranti che dall'Africa tentano di raggiungere l'Europa. Parole cui fanno seguito quelle della portavoce della Commissione Natasha Bertaud, secondo la quale "è opportuno che qualsiasi cambiamento di politiche sia prima discusso e comunicato nel modo giusto, così da dare tempo alle Ong di prepararsi". Proposte che servono solo a prendere tempo e rimandare le decisioni, tanto che lo stesso presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani le ritiene insostenibili. "Dall'Italia arriva un grido d'allarme, un sos, non una richiesta di soldi: non possiamo lasciarla sola. Ho parlato con Juncker - dice - un colloquio positivo in cui ha ribadito che l'Ue non può voltare le spalle all'Italia".

Un sistema di ricollocamenti che non ha mai funzionato e una riforma del sistema d'asilo, cioè del regolamento di Dublino, che non riesce ancora a vedere la luce: questi i due principali nodi ancora irrisolti nei rapporti tra l'Italia e l'Ue sul fronte della crisi dei migranti.

Il vero 'buco nero' del sistema di sostegno al governo di Roma sono i Paesi membri che, ogni volta che si incontrano, specie nel formato Consiglio interni, non riescono a deliberare azioni tempestive ed efficaci. Un fenomeno che si è ripetuto anche all'ultimo vertice europeo, quando la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Emmanuel Macron hanno espresso tutto il loro supporto all'Italia nella battaglia in atto per una maggiore condivisione delle responsabilità. Peccato che nel documento conclusivo del summit non figurasse neanche un'azione concreta destinata ad alleviare almeno un pò l'Italia dal peso della gestione degli arrivi di migranti. Per non parlare dei ferrei controlli alle frontiere di Francia e Austria che le autorità di Parigi e Vienna hanno messo in atto per bloccare il transito di migranti provenienti dall'Italia. O delle critiche che sono piovute sulle nostre autorità, accusate dai partner di incentivare le partenze dalle coste dell'Africa attraverso l'organizzazione dei salvataggi in mare Per convincere i Paesi che si sono mostrati più recalcitranti ad accettare i ricollocamenti - Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca - la Commissione Ue ha avviato procedure di infrazione, ma da Budapest a Varsavia la risposta è stata di sfida. E sono state sempre le divisioni fra le cancellerie a bloccare la riforma del regolamento di Dublino, ovvero del Sistema europeo d'asilo, che lascia tutto il peso della gestione degli arrivi sulle spalle dei paesi di prima accoglienza. E sono ancora solo impegni presi sulla carta quelli per i contributi di lungo termine a sostegno della complessa strategia elaborata dal 'ministero degli esteri' europeo guidato da Federica Mogherini per affrontare le cause alla radice dell'immigrazione, fatta di accordi con i paesi di origine e transito per permettere i rimpatri, aiuti al controllo delle frontiere a sud della Libia e strategia di investimenti a lungo termine. Impegni presi solennemente da tutti, ai quali però non sono corrisposti versamenti nel piatto del Fondo per l'Africa.

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